Il volto che vogliamo e il volto che abbiamo.
Articolo pubblicato sul magazine Insight 2022-07-13
Alla fine di ottobre, Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, ha annunciato gli sviluppi che la sua compagnia avrà nei prossimi dieci anni. Parlando da uno sfondo virtuale che un poco ricordava i videogames di inizio anni 2000, Zuckerberg ci rivela che vede nel futuro della fruizione elettronica un cambiamento radicale. Nella comunicazione e interazione fra persona e persona oggi si possono raggiungere dei livelli che possiamo definire quelli di “telepatia istantanea”. Infatti si può contattare chiunque vogliamo mediante il nostro sempre più potente telefono cellulare, ma Zuckerberg vuole colmare un vuoto, quello di incontrarsi “fisicamente”. Facebook, che sarà presto trasformato nel nome in “Meta”, proporrà degli spazi virtuali, delle sale tridimensionali dove si potranno effettuare conversazioni con i propri amici o colleghi di lavoro. Con un mercato diffuso, che cerca di rendere sempre più effettivi i beni virtuali, NFT, Crypto e via dicendo, Facebook sta sicuramente facendo un passo nella direzione giusta contro la freddezza delle transazioni online proponendo un modo più autentico di scambiarsi beni di valore virtuali. Nel Keynote, Zuckerberg ha speso in realtà molto poco tempo nella spiegazione di tutte queste cose. Quasi tutta la presentazione è stata focalizzata sul concetto di "avatar". L'avatar, ossia come uno user virtuale viene immaginato dal computer in uno spazio virtuale, non è un concetto nuovo. Presente da sempre nella storia dei videogame online, le “skin” (nome spesso dato al personaggio che ci rappresenta) sono cosa ben nota. Più recentemente si sono visti attraverso i social media dei filtri che migliorano o stravolgono la realtà, rimuovono imperfezioni della pelle, ingrandiscono occhi o cambiano il colore dei capelli. Tutto in maniera sempre più realistica e quasi indistinguibile dalla realtà, complice anche la fotografia digitale dei telefoni cellulari che ci ha abituato a percepire la "realtà" attraverso una manipolazione digitale radicale. I nostri occhi ormai sono abituati ad accettare il vero come certo anche solo in base ad una fotografia scattata con un iPhone, che di fatto sarebbe impossibile distinguere da un'immagine interamente creata in 3D/Photoshop. Alcuni governi stanno attuando alcune leggi che vietano la pubblicazione di immagini drasticamente manipolate digitalmente senza specificarlo in maniera chiara. Questo avviene soprattutto per i filtri che ingentiliscono o stravolgono completamente i volti degli influencers di Instagram.
William Gibson, che nei primi anni '80 pensò al nostro presente dandogli il nome di Cyberpunk, aveva immaginato una realtà dove l’Oriente si sarebbe unito all’Occidente e dove la tecnologia si sarebbe sviluppata verso i consumi di massa. Previde chirurgia estetica radicale, implementazioni cibernetiche, ma soprattutto inventò il concetto di Cyberspace. Quando Internet si affermò in tutte le nazioni del mondo, intorno al 1995, pensammo che quello fosse il Cyberspace. In fondo ne aveva tutte le caratteristiche. Ma ci sbagliavamo: il vero Cyberspazio doveva ancora venire. Nel Cyberspazio ognuno di noi vestirà i panni di un avatar che comporrà come vuole, combinando elementi estetici che scaricherà a pagamento. La sua reputazione verrà valutata in base alla rarità o al costo della skin che indossa. Nel lontano 2003, un videogame online chiamato Second Life aveva in realtà anticipato quanto Zuckerberg ha detto nella sua Keynote. Second Life però non raggiunse mai un livello di popolarità tale da essere considerato un fenomeno di massa. Al contrario, se Facebook/Meta diventasse un prodotto simile, allora ci troveremmo di fronte a qualcosa che sconvolgerà completamente le relazioni interpersonali. Immedesimarsi in un’entità decisa a tavolino non è una cosa nuova: in fondo i videogame lo propongono da oltre trent'anni, e prima ancora lo facevano i Role Play Games come Dungeons & Dragons. C'è però una differenza tra prendere momentaneamente il controllo di un entità astratta che possiede delle caratteristiche funzionali alla riuscita di un gioco e quella di creare una facciata che si frappone permanentemente fra noi e gli altri. Sono di certo due operazioni cugine ma che hanno delle implicazioni profondamente diverse e per certo delle ripercussioni sulla nostra personalità, carattere e sviluppo mentale. Se poi aggiungiamo che la “facciata” che ci dovrà rappresentare sarà apprezzata secondo dei valori gestiti dalla piattaforma che offre il servizio, allora non è allarmistico dire che i rapporti tra le persone cambieranno nel nostro prossimo futuro. Personalmente svolgo la professione di fotografo e sono specializzato in ritratto. Le tematiche con cui ho introdotto questo articolo mi toccano da vicino. Mi piace quando le modelle, che spesso si vedono soltanto attraverso le loro comp card promozionali o nei post di Instagram, reagiscono al mio lavoro in modo molto emotivo. La maggior parte di loro non ha mai visto la propria faccia nel modo in cui le ho fotografate, naturale e senza alcun tipo di filtro di miglioramento. Sono felicemente sorpreso che a loro piaccia il mio lavoro, spesso mi chiedono di scattare di nuovo o mi introducono a modelle amiche. Immagino che sia un buon segno, le persone vogliono ancora avere un ricordo di come sono e sono felici di vedersi in un modo più onesto. L’atmosfera del mio lavoro non è celebrativa, non tende a valorizzare ulteriormente i soggetti e vuole rappresentare un contenuto grezzo di realtà. Soprattutto qui dove vivo, Bangkok, gli standard di bellezza sono una questione complicata. I thailandesi passano più tempo su Social Media di chiunque altro e le giovani generazioni stanno crescendo con standard di bellezza virtuali. Nel 2020 in piena pandemia globale ho pubblicato un libro fotografico dove ho affrontato alcune di queste tematiche. Pubblicato dalla casa editrice Seipersei con i testi di Benedetta Barzini, Nadine Barth e Benedetta Frucci, è intitolato “Casting a Book about Women”, ed è frutto delle mie personali considerazioni critiche sui moderni canoni di bellezza. Sono fortemente impressionato per il cambiamento subito dalla percezione della bellezza umana. Le moderne tecnologie ci faranno vedere cose che non esistono, la realtà aumentata, i nostri volti saranno percepiti come vogliamo. Potremmo essere una star di Hollywood, un amico che amiamo, un insegnante che ci piace. Il modo in cui guardiamo, l’impressione naturale che il nostro sé biologico dà agli altri, sarà gradualmente meno importante nel prossimo futuro. Io amo da sempre un tipo di fotografia che disegna un’idea, una composizione di luci ed ombre, utilizzando elementi della vita reale. Se la fotografia si basa su qualcosa che non è reale, non è più fotografia, ma qualcos’altro.
In questa evoluzione ci saranno alcuni risvolti, in realtà molto interessanti da capire, negli anni che verrano. Le persone sceglieranno un avatar cercando di far trasparire le proprie curiosità, le proprie attitudini interiori, anche solo per apparire come uno vorrebbe essere senza essere vincolato a come uno è realmente. Una scelta vorrebbe far intendere un certo tipo di carattere, ma e’ tutto fittizio e quindi trascende dai valori universali e diventa pura matematica. Sarà un individuo molto presuntuoso e opportunistico, questo avatar del cyberspazio metafisico.
Ma ormai anche il cinema è diventato videogame e il videogame è diventato cinema. Oggi i ragazzi vedono lunghi filmati di chi gioca ad un videogame, come fosse un film. Il cinema di Hollywood invece sta gradualmente diventando un intrattenimento più libero dai canoni a cui siamo abituati e che presto sfocerà nella realtà virtuale e l'impersonificazione pratica degli eroi della storia del film. Stiamo sempre più andando incontro alla possibilità di prendere possesso attivo di un “avatar”, che ci rappresenterà in un universo non più fisico. Quanto questa “maschera” sarà presente non solo nel momento in cui siamo nel Cyberspace ma anche nei normali momenti della vita quotidiana, questo sarà da vedere nei prossimi anni. Luigi Pirandello scrisse: “Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai ogni giorno milioni di maschere e pochissimi volti.” Come sappiamo, tutta la sua poetica teatrale e letteraria prendeva spunto dalla commedia di Luigi Chiarelli “La maschera e il volto”. E proprio qui sta il problema: come vorremmo, o dovremmo, apparire nella società, precede la tecnologia contemporanea e forse è insito nella società umana. Quello che cambia al giorno d'oggi, è la semplicità e la radicalità delle operazioni che diventano accessibili a tutti e con un po’ di impegno possono cambiare il nostro aspetto in maniera permanente nella nuova società virtuale. La mia fotografia vuole invece essere fortemente ancorata alla realtà fisica. Per me la fotografia deve essere sempre un documento reale, mi interessa produrre un certificato di autenticità nell’era della nascita dell’immagine artificiale. Mi sembra che comunque queste nuove e sofisticate tecnologie avranno molto a che fare con l’arte come mestiere. Serviranno miriadi di illustratori digitali, 3D designers e così via nei prossimi anni. Saranno però nuove forme artistiche e, come successe con il teatro e poi con il cinema e la televisione, non tutte le forme d’arte tradizionali devono necessariamente soccombere sotto l’incessante galoppata della tecnologia. Alcune forme d’arte si stabiliscono anche nel corso di pochi anni e si consolidano in una certa configurazione mediante la quale un certo tipo di risultato viene prodotto. Il risultato deve essere un prodotto che gestisce una sensibilità intellettuale definita. Mai come oggi stiamo avvertendo che un muro sta dividendo reale e virtuale. A mio parere, è nostro compito di artisti rendere visibili i cambiamenti e le problematiche di questo tempo. Nello stesso tempo, però, è molto importante rendersi conto che, mano a mano, a forza di volti con le maschere, la maschera sostituirà il volto.